mercoledì 25 febbraio 2009

"Vita e Morte secondo il Vangelo" di Enzo Bianchi


da “La Stampa” del 15 febbraio 2009

"C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare" ammoniva Qohelet, così come «c’è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per uccidere e un tempo per guarire...».
Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana - prima ancora che biblica - è parsa
dimenticata.
Anche tra i pochi che parlavano per invocare il silenzio v’era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la pensavano diversamente da lui. Da parte mia confesso che, anche se
il direttore di questo giornale mi ha invitato più volte a scrivere, ho preferito fare silenzio, anzi,
soffrire in silenzio aspettando l’ora in cui fosse forse possibile - ma non è certo - dire una parola
udibile.
Attorno all’agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza,
si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno,
nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all’umanità di cui sono
parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede
cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»... - senza
pensare a Gesù che quando gli hanno portato una donna gridando «adultera» ha fatto silenzio a
lungo, per poterle dire a un certo punto: «Donna \ neppure io ti condanno: va’ e non peccare più»;
non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla «ladro,
assassino!» al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di
colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare
ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale?
Ma accanto a queste contraddizioni laceranti, come non soffrire per la strumentalizzazione politica
dell’agonia di questa donna? Una politica che arriva in ritardo nello svolgere il ruolo che le è
proprio - offrire un quadro legislativo adeguato e condiviso per tematiche così sensibili - e che
brutalmente invade lo spazio più intimo e personale al solo fine del potere; una politica che si finge
al servizio di un’etica superiore, l’etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di
cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile. L’abbiamo detto e scritto più volte: se
mai la fede cristiana venisse declinata come religione civile, non solo perderebbe la sua capacità
profetica, ma sarebbe ridotta a cappellania del potente di turno, diverrebbe sale senza più sapore
secondo le parole di Gesù, incapace di stare nel mondo facendo memoria del suo Signore.
È avvenuto quanto più volte avevo intravisto e temuto: lo scontro di civiltà preconizzato da
Huntington non si è consumato come scontro di religioni ma come scontro di etiche, con gli effetti
devastanti di una maggiore divisione e contrapposizione nella polis e, va detto, anche nella Chiesa.
Da questi «giorni cattivi» usciamo più divisi. Da un lato il fondamentalismo religioso che cresce,
dall’altro un nichilismo che rigetta ogni etica condivisa fanno sì che cessi l’ascolto reciproco e la
società sia sempre più segnata dalla barbarie.
Sì, ci sono state anche voci di compassione, ma nel clamore generale sono passate quasi inascoltate.
L’Osservatore Romano ha coraggiosamente chiesto - tramite le parole del suo direttore, il tono e la
frequenza degli interventi - di evitare strumentalizzazioni da ogni parte, di scongiurare lo scontro
ideologico, di richiamare al rispetto della morte stessa. Ma molti mass media in realtà sono apparsi
ostaggio di una battaglia frontale in cui nessuno dei contendenti si è risparmiato mezzi
ingiustificabili dal fine. Eppure, di vita e di morte si trattava, realtà intimamente unite e pertanto
non attribuibili in esclusiva a un campo o all’altro, a una cultura o a un’altra. La morte resta un
enigma per tutti, diviene mistero per i credenti: un evento che non deve essere rimosso, ma che dà
alla nostra vita il suo limite e fornisce le ragioni della responsabilità personale e sociale; un evento
che tutti ci minaccia e tutti ci attende come esito finale della vita e, quindi, parte della vita stessa, un
evento da viversi perciò soprattutto nell’amore: amore per chi resta e accettazione dell’amore che si
riceve. Sì, questa è la sola verità che dovremmo cercare di vivere nella morte e accanto a chi muore,
anche quando questo risulta difficile e faticoso. Infatti la morte non è sempre quella di un uomo o
una donna che, sazi di giorni, si spengono quasi naturalmente come candela, circondati dagli affetti
più cari. No, a volte è «agonia», lotta dolorosa, perfino abbrutente a causa della sofferenza fisica;
oggi è sempre più spesso consegnata alla scienza medica, alla tecnica, alle strutture e ai
macchinari...
Che dire a questo proposito? La vita è un dono e non una preda: nessuno si dà la vita da se stesso né
può conquistarla con la forza. Nello spazio della fede i credenti, accanto alla speranza nella vita in
Dio oltre la morte, hanno la consapevolezza che questo dono viene da Dio: ricevuta da lui, a lui va
ridata con un atto puntuale di obbedienza, cercando, a volte anche a fatica, di ringraziare Dio: «Ti
ringrazio, mio Dio, di avermi creato...». Ma il credente sa che molti cristiani di fronte a
quell’incontro finale con Dio hanno deciso di pronunciare un «sì» che comportava la rinuncia ad
accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato. Quanti monaci, quante
donne e uomini santi, di fronte alla morte hanno chiesto di restare soli e di cibarsi solo dell’eucarestia, quanti hanno recitato il Nunc dimittis, il «lascia andare, o Signore, il tuo servo»
come ultima preghiera nell’attesa dell’incontro con colui che hanno tanto cercato... In anni più
vicini a noi, pensiamo al patriarca Athenagoras I e a papa Giovanni Paolo II: due cristiani, due
vescovi, due capi di Chiese che hanno voluto e saputo spegnersi acconsentendo alla chiamata di
Dio, facendo della morte l’estremo atto di obbedienza nell’amore al loro Signore.
Testimonianze come queste sono il patrimonio prezioso che la Chiesa può offrire anche a chi non
crede, come segno grande di un anticipo della vittoria sull’ultimo nemico del genere umano, la
morte. Voci come queste avremmo voluto che accompagnassero il silenzio di rispetto e
compassione in questi giorni cattivi assordati da un vociare indegno. La Chiesa cattolica e tutte le
Chiese cristiane sono convinte di dover affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale, essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente.
Allora, da una millenaria tradizione di amore per la vita, di accettazione della morte e di fede nella risurrezione possono nascere parole in grado di rispondere agli inediti interrogativi che il progresso delle scienze e delle tecniche mediche pongono al limitare in cui vita e morte si incontrano. Così leriassumeva la lettera pontificale di Paolo VI indirizzata ai medici cattolici nel 1970: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmentecreatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nellafase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, conqualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche inquesto il medico deve rispettare la vita».
Ecco, questo è il contributo che con rispetto e semplicità i cristiani possono offrire a quanti non
condividono la loro fede, affinché la società ritrovi un’etica condivisa e ciascuno possa vivere e
morire nell’amore e nella libertà.

lunedì 23 febbraio 2009

E il filo rosso del PD continua: da Veltroni a Franceschini. Avanti!


Il filo rosso del PD continua. Veltroni dopo un anno e mezzo ha fatto il suo nodo, ieri Franceschini ha iniziato il suo percorso, e il PD tutto insieme con lui.
Il discorso di Veltroni. Il discorso di Franceschini. L’uno più emozionale – naturale che fosse così - l’altro più pragmatico: non è il momento di scaldare gli animi con il pathos, ma di dire “Questa è la via. Siamo tutti d’accordo? Allora seguitemi, incamminiamoci insieme”…senza l’orologio in mano! (come suggerisce Veltroni)

Ieri però sono stata molto colpita da una cosa. Stavo sfogliando Repubblica e avevo ancora in mente il discorso di Veltroni. La parola chiave era ancora “cambiamento”: “cambiare radicalmente il nostro Paese”; “con l’ambizione non di cambiare il governo, ma di cambiare l’Italia”; “un ciclo che cambiasse lo Stato sociale, cambiasse il modo di essere…”.
In terza pagina mi blocco, vedo diverse foto che fanno da cornice ad un articolo sulla leadership: Berlusconi onni-presente stringeva la mano a 7-8 leader della sinistra e centro-sinistra: lui rimane, gli altri cambiano. “Panta rei”…tutto scorre, davanti a lui.
Allora mi sono chiesta “Gli Italiani, nella loro maggioranza, credono e vogliono “il cambiamento” che intendevano Veltroni e il PD…the “CHANGE”, il mantra di Obama ?
Essere “uniti nella diversità” può essere non facile, ma ci si può riuscire, “Abituiamoci all’idea che un grande partito è un luogo di diversità” (Veltroni), “Non chiedete a chi verrà eletto dopo di me, con l’orologio in mano, di ottenere dei risultati” (sempre V.) ed anche questo è possibile, basta essere ragionevoli e un pizzico lungimiranti; bene “avere il coraggio di mettere la vela quando il vento è più basso sapendo che prima o poi se la vela è messa nella giusta posizione arriverà il vento per andare e fare la marcia giusta”, ma la marcia giusta arriva se si “ascolta” con attenzione e partecipazione la società italiana. I cambiamenti non avvengono per caso, in un senso o nell’altro, bisogna costruirli, e ci vogliono pazienza e perseveranza.

La democrazia non ha un prezzo, ha un valore. Per far sì che il PD sia il primo protagonista di questo valore, credo che la strada giusta sia “partire dal territorio” e coinvolgere attivamente gli amministratori locali virtuosi, che non hanno bisogno dello “specchio delle mie brame” per sapere quello che i cittadini reputano importante per la propria vita e soprattutto per un futuro migliore, per sé, per la propria famiglia e per l’Italia. Dobbiamo tutti noi capire il “cambiamento” che vogliamo…di per sé il “change” non è un valore, anche le ronde, possono essere un “fattore di cambiamento”, ma non credo proprio che sia quello il senso che il PD vuol dare a questo concetto.
Capire il cambiamento che vorremmo il PD preannunci con lungimiranza, guidi con energia e pragmatismo, interpreti con unità di intenti. Questo potrebbe già essere un buon inizio, verso quella “nuova stagione” di cui parlava Veltroni all’inizio della sua importante esperienza.

Condivido con tutti voi questo detto africano, particolarmente appropriato al momento che stiamo vivendo:

Il miglior momento per piantare un albero era 20 anni fa; il secondo miglior momento è ora”.

Senza timori. Avanti con il PD.

martedì 3 febbraio 2009

La voce di Massimo D'Alema


Credo sia importante leggere le parole di Massimo D'Alema in riferimento alla costruzione del PD, nella fase delle primarie per Firenze, pertanto ripropongo una delle sue ultime interviste.

«PD, INDIETRO NON SI TORNA MA COSI' NON VA: CI VUOLE PIU' IMPEGNO»

1 Febbraio 2009 intervista di Claudio Sardo - Il Messaggero


ROMA (1° febbraio) - «Dal Partito Democratico non si torna indietro. L’idea che ad un tratto possano di nuovo materializzarsi Ds e Margherita è sciocca e irrealistica. Il problema del Pd non è questo: è il nostro progetto ancora incompiuto. Il problema sono i passi avanti che ci mancano».

Massimo D’Alema torna, dopo la direzione di dicembre, a parlare del Pd, del suo «malessere», della «proposta di governo» e del futuro da costruire.

«Questo - dice - è il momento dello sforzo comune, di raccogliere le forze per affrontare la sfida». L’intervista muove da qui. Anche se D’Alema non tarda a contestare la tesi, cara al vertice del Pd, che le difficoltà dipendano innanzitutto dalla litigiosità interna.

Di cosa soffre allora il Pd?«Costruire un grande partito è prima di ogni altra cosa un’impresa culturale e organizzativa. Il nostro deficit è qui. E non serve cercare spiegazioni di comodo, tanto meno etichettare come dalemiani tutti coloro che dissentono. La pluralità di opinioni tra noi è insopprimibile: va governata con prudenza e responsabilità di tutti».

Cosa intende per impresa culturale e organizzativa?«Che c’è bisogno di grande energia per radicare un partito nuovo, per rimotivare i militanti e per far convivere il loro impegno con forme di partecipazione diretta dei cittadini. E che, accanto al radicamento sociale, l’altra grande questione politica è il radicamento nella storia nazionale, la “giustificazione storica” del Pd. Spero che la prossima Conferenza programmatica ci aiuti a fare quei passi che fin qui sono mancati».

Intanto Bersani s’è fatto avanti come possibile contendente alla leadership di Veltroni. Lei lo sosterrà dopo le europee, quando verrà il tempo del congresso?«Mi pare che Bersani abbia detto correttamente che oggi non ci sono candidature né congressi, ma un lavoro comune per affrontare al meglio europee e amministrative. Poi, è fin troppo banale dire che dopo il voto si discuterà. Siamo un partito, appunto, democratico».

Lei però a dicembre parlò dell’amalgama ancora non riuscito. E più di qualcuno le attribuì il progetto di una nuova sinistra di matrice socialista nel dopo-Pd.«Le mie parole allora furono decontestualizzate e completamente falsate. Stavo replicando alla tesi che il Pd soffriva a causa di correnti verticali e ben strutturate. Mi sembrava una critica tranchant e, per di più, infondata. Ho risposto che l’amalgama ancora non c’è e che non bisogna confondere le correnti con i riflessi, peraltro un po’ confusi, delle appartenenze precedenti».

Resta il problema della rappresentanza politica della sinistra. Problema che non riguarda solo il destino di Ferrero e Vendola. Non le pare che il Pd si stia scoprendo a sinistra, come dimostra il gelo con la Cgil sulla riforma dei contratti?«La migliore tradizione della sinistra italiana è riformista. Senza questa storia, senza questa presenza il Pd verrebbe meno al suo progetto di unire i riformisti. Certo, la sinistra è uno degli affluenti del Pd. Ma il Pd non nasce per cancellarla. Al tempo stesso, è naturale che viva una sinistra fuori dal Pd, senza rivendicazioni di esclusive. E sono anche convinto che quest’area, nel suo complesso, non stia arretrando sul piano dei consensi».

E il rapporto con la Cgil?«Il Pd non deve sempre andare d’accordo con la Cgil. Io stesso ho avuto confronti duri quando ancora c’erano i Ds. Oggi però sono convinto che escludere il maggiore sindacato, non da un contratto di categoria, ma dalla riforma del sistema contrattuale, sia una forzatura e un errore. Sono convinto da molti anni che si debba riformare il modello contrattuale nel senso di accrescere il peso della contrattazione salariale nei luoghi di lavoro. Tuttavia, non mi convincono alcuni punti di merito, innanzitutto perché non mi sembra pienamente garantita per i lavoratori più deboli la difesa del potere d’acquisto del salario rispetto all’inflazione reale. E poi, perché detassare gli aumenti contrattati a livello aziendale e non anche quelli negoziati sul tavolo nazionale? Perché usare il fisco per dare di più a chi ha già di più e togliere a chi ha di meno?»

L’accordo per fissare lo sbarramento al 4% alle europee sembra fatto. D’Alema voterà a favore?«Sono un parlamentare disciplinato che segue sempre le indicazioni del gruppo. Sull’accordo però vanno distinti due aspetti. Nel merito giudico il compromesso accettabile. Le preferenze sono rimaste a garanzia del potere degli elettori. E, anche se continuo a ritenere più giusta la soglia del 3% anziché il 4, prendo atto che il negoziato con Berlusconi non possa offrire di più. Accanto al merito però bisogna anche valutare gli effetti politici. E su questo ho più di una preoccupazione...».

Insomma, sta consigliando a Veltroni di fermarsi e rinunciare alla riforma.«Non ho compiti di direzione politica e rimetto le valutazioni al gruppo dirigente. Domando però se convenga al Pd andare avanti per questa strada. Si rischia non solo di inasprire i rapporti con potenziali alleati alle amministrative, ma anche di suscitare sentimenti di rigetto in parte dell’opinione pubblica che sospetta il prevalere di interessi particolari. Se la decisione sarà di andare avanti, spero almeno che si attenuino alcuni aspetti tecnici dello sbarramento. Ad esempio, è ingiusto negare il rimborso a tutti coloro che non arrivano al 4%. Per il rimborso elettorale si può anche fissare una soglia più bassa. Democrazia è anche partecipare, provare. È giusto disincentivare le liste dello zero virgola. Ma non si può alzare un muro».

Lei ha parlato di potenziali alleati. Le alleanze sono motivo di divergenze strategiche nel Pd. Lei punta sempre su Casini e Vendola come interlocutori privilegiati?«Non si pone così il tema delle alleanze. Gli alleati non si possono reclutare alla maniera della marina britannica di un tempo: una botta in testa e via, arruolati. Non posso allearmi con chi non condivide il medesimo progetto. Il tema per il Pd non è allora quali alleati scegliere. Il tema è come preparare la sfida del governo. Che vuol dire: costruire un programma efficace e una coalizione credibile per realizzarlo. Alle elezioni il Pd era alleato con l’Idv. Non credo che oggi si possa lanciare una sfida di governo credibile riproponendo la coalizione Pd-Idv».

L’accordo sullo sbarramento potrebbe riproporre la tentazione dell’autosufficienza e del bipartitismo.«In Italia non c’è il bipartitismo. Alle ultime elezioni Lega e Idv hanno ottenuto incrementi persino maggiori di Pdl e Pd. Neppure in Europa c’è il bipartitismo, ma un bipolarismo fondato su due forze prevalenti. È questo l’approdo più razionale anche per le riforme. Intanto è bene che il Pd cominci a lavorare sui contenuti e ad aprire il confronto sui temi politici e istituzionali innanzitutto con le forze che oggi si trovano all’opposizione».

Ma Di Pietro è ancora un interlocutore plausibile dopo la reiterata polemica con il Presidente della Repubblica?«Di Pietro si proclama paladino dell’indipendenza della magistratura, ma sempre più si fa rappresentante di singoli magistrati e di singole Procure, talvolta schierate contro altri magistrati e altre Procure. Questo intreccio tra inchieste particolari e lotta politica è inquietante. Vedo che anche nel movimento di Di Pietro si colgono dei malumori per questo e per gli attacchi pretestuose e talora volgari al Capo dello Stato. Spero che Di Pietro si fermi, perché altrimenti diventerebbe impossibile ogni rapporto».

La riforma della giustizia è il terreno di un possibile incontro con il governo?«Dipenderà dalle proposte del governo. Sulle intercettazioni ha fatto bene a non modificare la lista dei reati, ma sbaglia a limitare le capacità investigative dei magistrati. Sarebbe meglio concentrarsi sulla tutela della privacy e sui limiti alle pubblicazioni. Sulla crisi più generale della giustizia il banco di prova riformatore è la rapidità del processo civile, oltre che la riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie. Passa da qui una riforma nell’interesse dei cittadini. Ma allo stato mi pare che Berlusconi pensi ad altro».

Sergio Caruso: lettera a sostegno della candidatura di Lapo Pistelli


COME FU CHE UN VECCHIO COMUNISTA AGNOSTICO SI RITROVÒ AD APPOGGIARE IL CATTOLICO PISTELLI

Ho conosciuto Lapo Pistelli negli anni ottanta. Per ragioni d’ufficio, in sede di esame. Lui era allora uno studente di Scienze Politiche; io ero un docente di quella Facoltà, poco più giovane di com’è lui oggi. Di lui nulla sapevo, se non che era figlio di Nicola Pistelli, immaturamente scomparso, e che sulle orme del padre militava anche lui nella Democrazia Cristiana. Io per contro stavo allora nel PCI, il vecchio PCI, ed ero molto impegnato nella commissione internazionale del Partito. Per quanta simpatia potessi avere per quel coté democratico-sociale del cattolicesimo fiorentino (dove pure contavo molte conoscenze), mai avrei pensato che un giorno quel ragazzo e io ci saremmo ritrovati sotto le stesse bandiere. Del resto, chi poteva pensare alcunché del genere prima dell’Ottantanove? Per farla breve: il ragazzo era bravo, molto bravo. Gli detti trenta e lode, e credetti di potermi dimenticare di lui…
Invece no, rieccolo! In Consiglio Comunale, alla Camera dei Deputati, al Parlamento europeo, di nuovo alla Camera. Più bravo che mai.
Nel frattempo le carte si andavano sanamente rimescolando. Post-democristiani e post-comunisti (ma non loro soltanto) passavano dal Partito Popolare alla Margherita, dal PDS ai DS. Formazioni naturalmente alleate fra loro: Quercia, Margherita, unite nell’Ulivo. La stagione “vegetale” di un centro-sinistra che cerca luce e vuole crescere, contro un Berlusconi che tentava d’inchiodarci tutti nella “cassa delle libertà”. Poi, finalmente, nasce il PD: la scommessa odierna. Per aggregare forze nuove: al di là di esperienze storiche sicuramente importanti, ma consumate.
Nella fase costituente del Partito Democratico a Firenze, mi ritrovai più volte vicino all’ex sindaco Primicerio, un altro cattolico di provata laicità. Credo che Firenze gli debba tanto: se questa città è finalmente uscita dall’immobilismo per affacciarsi sul XXI secolo, si deve sopra tutto a lui. Fermo restando, ed è giusto riconoscerlo oggi, il merito del sindaco Domenici nel portare avanti con coerenza, e fra mille ostacoli, le cose allora messe in cantiere (insieme con altre volute da lui e dalla Giunta da lui diretta). Dialogare con Primicerio era ed è facile. Perfino per un laicone con me, non alieno da tentazioni anticlericali. Perché Primicerio, per quanto mosso con ogni evidenza da una ispirazione cristiana, mai si sognerebbe di sostenere, in sede politica, che qualcosa è giusto oppure ingiusto perché “così sta scritto” o, peggio, perché “l’ha detto il papa”. Egli sa che, in sede politica, bisogna portare argomenti politici: potenzialmente validi per qualunque cittadino. Così come lo sa Stefano Marmugi, presidente del Quartiere 1 e caro amico, col quale spesso – già nella fase costituente del PD – mi potevo trovare politicamente d’accordo sulle prospettive di fondo. Del resto, devo ammetterlo, una delle persone più “laiche” (per certi aspetti, perfino “anticlericale”) che io abbia mai conosciuto, era non solo cattolico, ma prete: padre Ernesto Balducci. Insomma, voglio dirlo: ritrovarsi nello stesso partito con persone come Primicerio o Marmugi è stato un piacere, non inferiore a quello di ritrovarci tanti vecchi compagni.
Ed eccoci alle primarie. Il fatto che amici stimati guardassero con speranza a Pistelli mi colpì. Volli incontrarlo (nel corso dell’estate, intermediario Marmugi). Mi fece una splendida impressione. Alle qualità native, che già conoscevo, aveva aggiunto, maturando le sue esperienze, una ricchezza di idee e un’ampiezza di prospettive, che – diciamo la verità – non trova l’eguale in nessun altro dei candidati alle primarie. Tutti rispettabili, per carità. A volte anche bravi, ognuno con i suoi meriti. Ma troppo legati a quell’ambito ristretto, un po’ provinciale, che Spadolini chiamava “la Firenzina”…
Non che Firenze sia Londra o Parigi. Chi pensasse che la nostra città è una megalopoli, sarebbe egli stesso un megalomane! Dunque: niente manie di grandezza. Le quali, paradossalmente, non son altro che l’immagine speculare della “Firenzina”: una Firenzina immersa nella contemplazione immobile di se stessa quale centro dell’universo mondo! Tuttavia, se vogliamo che Firenze, quella vera, almeno resti una “capitale della cultura europea”, e che “cultura” non sia solo Rinascimento, allora abbiamo bisogno di una mentalità diversa, di un respiro europeo. Come dire: manie di grandezza no, ma pensare in grande sì: E questa duplice sensibilità, che tiene conto dei vincoli senza rinunciare al progetto, mi pare che Lapo Pistelli ce l’abbia.
Più volte ormai l’ho sentito parlare, in pubblico e in privato. E un altro merito gli ho dovuto riconoscere. E’ l’unico fra i candidati che abbia preso sul serio il PD come progetto politico che impegna il futuro, al di là delle vecchie appartenenze. Conclusa la fase “vegetale” dell’Ulivo, Pistelli mi sembra credere davvero negli “spiriti animali” del Partito Democratico, nelle potenzialità di un partito democratico di massa.
Allora, mi sono detto: perché no? Perché non sostenere fino in fondo quel candidato che in coscienza mi appare “quello meglio”? E poi: quella stessa laicità che (giustamente) esigo dagli altri, se ha da valere per tutti non vale forse anche per me stesso?

Ecco come fu che che un vecchio comunista agnostico si ritrovò ad appoggiare Lapo Pistelli.

Sergio Caruso

venerdì 30 gennaio 2009

Lapo Pistelli: lunedì 2 febbraio ore 18:00 incontra i Circoli 1 e 2


LAPO PISTELLI
Candidato alle Primarie per il Sindaco di Firenze

incontra i Circoli PD 1 e 2

LUNEDI' 2 FEBBRAIO
ore 18:00-19:00

via Faenza, 41
Chiesa sconsacrata di San Jacopo in Campo Corbolini


Lapo, punto e a capo...ambiente, qualità del vivere, l'Arno, creatività, Firenze punto di riferimento nel mondo...il traffico per l'appunto! e molto altro ancora

DRITTI AL PUNTO e... puntuali!

sabato 17 gennaio 2009

Incontro con il Sindaco Leonardo Domenici

Tranne cambio di programma il Circolo 2 Pd si incontrerà con il Sindaco Leonardo Domenici in Piazza della Madonna della Neve - le ex Murate - il giorno 23 Gennaio 2009 alle 17.
Seguirà comunicato Posta.

venerdì 26 dicembre 2008

Martedì 30 Dicembre 2008 in Via Venezia

AUGURI, TANTISSIMI AUGURI A TUTTI


……E PER FARSI ANCHE UN ABBRACCIO
PER IL PROSSIMO ANNO CI VEDIAMO

Martedì 30 Dicembre 2008
ore 18.00 in Via Venezia

Ordine del Giorno:
BACI, ABBRACCI E BRINDISI,
VARIE E EVENTUALI!!!

Per fare un punto sul tesseramento,
sul programma e incontri con i candidati delle primarie.

La coordinatrice del Circolo 2 PD ‘S.Croce-Ciompi’
Oriella Ferrini - cell. 3393737454