mercoledì 2 aprile 2008

Il fantasma del non voto

Il fantasma del non voto
Michele Ainis, La Stampa, 01-04-2008

Può darsi che io viva sulla luna, o forse l’Italia è ormai la luna, una crosta tutta sforacchiata dove i vuoti prevalgono sui pieni, dove l’assenza è l’unica presenza. Sta di fatto che inciampo continuamente su un fantasma: quello del popolo votante. Tendo l’orecchio per strada, in autobus, al bar, nei conciliaboli fra colleghi, amici, familiari - e ovunque ascolto un’idea di diserzione, l’idea di lasciar deserta l’urna elettorale. Accendo il computer, e dalla rete rimbalza sullo schermo l’appello del non voto. Non solo tra i grillini, non solo tra gli anarchici o tra chi ha fatto della protesta un sacerdozio, bensì tra i liberali (è il caso di Veneto liberale), così come tra circoli e associazioni delle più varie risme. Ai nastri di partenza della gara elettorale si era presentato perfino un partito, il cui stesso nome recava in sé un ossimoro: «Io non voto». Poi, però, non ha raccolto le 100 mila firme necessarie; almeno in questo, i suoi (non) elettori hanno offerto prova di coerenza.Questo fenomeno non viene registrato dai sondaggi, che al più disegnano una mela ritagliando la fetta degli indecisi, come se gli indecisi fossero pur sempre decisi a votare. Eppure può diventare la novità più dirompente del prossimo turno elettorale. Perché a un paio di settimane dal verdetto ogni rilevazione misurava almeno un 30% d’incerti, molto di più che nel passato. Perché i pochi sondaggi sull’astensionismo suonano ancora più allarmanti: tale per esempio il dato diffuso lo scorso 17 marzo da Ipr Marketing, secondo cui il 37% dei giovani non andrà a votare. Perché dunque l’esito del voto verrà determinato dal non voto. O meglio, dal voto espresso nel 2006 da parte di chi stavolta non userà la scheda elettorale. Insomma per la sinistra l’astenuto di destra peserà più del vecchio militante di sinistra. E viceversa, naturalmente.Da qui un grumo d’interrogativi, sul piano politico ma altresì giuridico. Sì, giuridico, benché il diritto sia diventato un legno storto nella patria del diritto. E però non abbiamo forse in circolo una norma costituzionale che proclama il «dovere civico» del voto? Tanto che negli Anni Cinquanta l’elettore non votante aveva l’obbligo di giustificarsi di persona presso il sindaco, che a sua volta ne affiggeva per un mese il nome sull’albo comunale, e per sovrapprezzo gli macchiava il certificato di buona condotta. E adesso? Possiamo desumerne che i pifferai dell’astensione sfruttano l’eclissi del nostro senso del dovere, nonché l’eclissi della Costituzione di cui i doveri collettivi sono figli? Sì e no. Intanto, dal lato formale, c’è almeno una categoria d’astensionisti che non si sottrae al dovere di votare: sono quanti annullano la scheda, o la lasciano bianca. Ma la questione è sostanziale. E s’accompagna agli argomenti che gonfiano il nostro scontento nazionale: i programmi fotocopia, le promesse buone per i grulli, l’aria da inciucio post-elettorale, le liste piene di signorine signorsì, e più in generale un senso di frustrazione, d’impotenza.Niente di nuovo, verrebbe da obiettare. Dopotutto in democrazia si sceglie quasi sempre il meno peggio. E dopotutto il non voto è sterile, è esso stesso un gesto d’impotenza. Tuttavia gli astensionisti ti rispondono che stavolta la musica è diversa. Perché siamo chiamati a una non scelta, dato che con questa legge elettorale gli eletti sono già stati scelti dai partiti, per giunta senza uno straccio di primarie. Perché se ciò nonostante gli italiani corressero in massa verso i seggi, vorrebbe dire che accettano il sopruso. Perché dunque gli astensionisti s’appellano al diritto evocato nell’Antigone di Sofocle, il diritto d’opporsi contro una legge ingiusta. Ecco, è proprio il divorzio fra giustizia e legge la colpa più nefanda di cui la politica si sia resa responsabile. Ed è questo divorzio che ha allevato poi l’antipolitica, la quale giunge adesso al suo primo riscontro elettorale. Nel 2006 il non voto toccò quota 9 milioni. Se il 13 aprile - come tutto lascia presagire - vi s’aggiungerà un altro milione d’italiani, otterremo una misura della nostra malattia.

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